ASSEMBLEA PUBBLICA UNIONE INDUSTRIALI NAPOLI - 4 giugno 2019

RELAZIONE PRESIDENTE VITO GRASSI

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Buongiorno a tutti.

Rivolgo un saluto particolare 

Al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri  Stefano Buffagni

Al Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca

Al Sindaco di Napoli Luigi de Magistris

Al Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia

A tutti i protagonisti dell’Assemblea Pubblica che stiamo per svolgere.

 

Abbiamo voluto organizzare questa giornata in due sessioni distinte ma con un comune denominatore.

Le Infrastrutture sono uno dei punti al centro della nostra riflessione e di quella dell’intero sistema confindustriale.

In mattinata, con l’Assemblea Pubblica, realizziamo un focus sulle Infrastrutture materiali.

Interverranno alla tavola rotonda i vertici di società ed enti in prima linea nella progettazione e realizzazione delle reti infrastrutturali, a cui rivolgo un sentito ringraziamento per aver aderito al nostro invito. 

Nel pomeriggio, al centro saranno le infrastrutture immateriali e pertanto tutto ciò che riguarda il tema cruciale dell’Innovazione per le imprese.

Connext Napoli è il primo incontro di partenariato industriale sul territorio, dopo la grande manifestazione fortemente voluta dal Presidente Boccia e realizzata a febbraio da Confindustria a Milano. 

Oltre 450 aziende si sono registrate sulla piattaforma di Connext Napoli e hanno avanzato oltre 2000 richieste di B2B, di cui solo 120 potranno essere svolti questo pomeriggio.

Contestualmente ad essi si svolgeranno una serie di incontri per promuovere l’innovazione presso le nostre Pmi e gli ulteriori approfondimenti che leggete sul programma presentato.

Iniziative che nascono prevalentemente dall’impegno congiunto del nostro sistema e del mondo universitario.

Con la creazione di un Competence Center e di un Digital Innovation Hub, sui quali avrò modo di ritornare, che hanno la funzione di accompagnare le imprese verso l’ineludibile percorso di trasformazione digitale.

Riteniamo che Infrastrutture e Innovazione costituiscano le leve strategiche prioritarie per la crescita dell’Italia e in particolare del nostro territorio.

Riteniamo che a Napoli si siano realizzate le condizioni perché la città e la regione Campania possano svolgere un ruolo fondamentale nei processi di innovazione in atto su scala nazionale ed europea. 

Registriamo una grande voglia di interazione  tra i soggetti imprenditoriali. Una spinta vitale per poter disegnare il futuro della nostra associazione, che dovrà essere capace di coniugare il senso di community e di appartenenza, la matrice industriale e la capacità di rappresentanza verso l’esterno.

Ma questa potenzialità potrà esprimersi nel prossimo futuro solo se sostenuta da un grande impegno, della componente pubblica e di quella privata, un Patto destinato a rendere più competitivo tutto il territorio. Di Napoli, del Sud, del  Paese.  

Serve partecipazione, proattività. “Non come chi vince sempre, ma come chi non si arrende mai” .

 

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Nel quadro generale, italiano e meridionale, ci sono importanti opportunità ma anche rilevanti criticità.

Il Prodotto interno lordo, fatto 100 il 2008, non raggiunge ancora quota 95 (Rapporto Ocse sull’Italia aprile 2019)

Il Nord ha recuperato i suoi livelli produttivi.

E’ il Mezzogiorno purtroppo a fare la differenza.

L’Italia è l’unico Paese dell’Ocse a non aver superato il Pil reale pro capite dell’anno 2000. Gli altri lo hanno migliorato: chi del 20, chi del 25%.

Noi siamo rimasti fermi.

La produttività del lavoro, rispetto al 2007, è migliorata in Francia, Germania, Spagna, Portogallo. 

Da noi è diminuita.

Non siamo riusciti neppure a gestire al meglio la crisi sul piano sociale. Meno del 10% dei trasferimenti sociali hanno raggiunto il 20%  più povero della popolazione in età lavorativa. Solo la Grecia ha fatto peggio dell’Italia.

Tra il Mezzogiorno e il resto del Paese continua a esserci un enorme divario. Probabilmente lo ripetiamo da 150 anni, ma, ad oggi, la forbice si è ancora più allargata. 

Il prodotto pro capite del Sud è poco più del 56% di quello del Centro-Nord.

Il tasso di disoccupazione al Mezzogiorno nel 2018 ha raggiunto il 18,4%, quasi tre volte quello del Nord (6,6%) e il doppio di quello del Centro (9,4%).

In questo scenario, ha una sua logica puntare a contenere tensioni e disagi con misure di sostegno sociale e strumenti che recuperino fiducia e senso dello Stato. 

Tali strumenti sono necessari, ma vanno tenuti distinti dalle politiche di sviluppo, che vanno però adottate con la stessa urgenza.

Le politiche di sviluppo che vogliamo devono risollevare il paese ponendo al centro l’impresa e la cultura d’impresa. Oggi, dopo tante incomprensioni, ci sembra di trovare i primi segnali con le iniziative assunte dal Governo nazionale, con il decreto crescita e lo sblocca cantieri.

Viviamo una fase obiettivamente difficile.

Caratterizzata da crescita zero o zero virgola.

Sono tanti, circa 150, i tavoli di crisi all’attenzione del Ministero dello Sviluppo economico.

Più le imprese sono a rischio, più chiudono, più aumentano le diseguaglianze.

Bisogna rilanciare la politica industriale. Bisogna partire dal basso, soprattutto attraverso un nuovo patto per il lavoro tra organizzazioni sindacali e imprese, una convinta ripresa del dialogo sociale, un clima di collaborazione e focus sugli obiettivi, in linea con quanto impostato con il patto della fabbrica proposto da Confindustria.

La questione dello sviluppo del Meridione è spesso anche questione sociale e di ordine pubblico.

La criminalità può essere sconfitta, sia da un rafforzamento delle misure di prevenzione e repressione, sia da una crescita di coscienza civica da parte delle popolazioni interessate.

Seguiamo con interesse e partecipazione la crescente adesione di imprenditori edili e del commercio al Patto antiracket promosso da Tano Grasso, diamo il benvenuto al nuovo Questore di Napoli, dott. Alessandro Giuliano, ci rallegriamo con l’uscente e apprezzatissimo Antonio de Jesu consapevoli di continuare ad averlo vicino nel ruolo di vice capo della Polizia nazionale.

La strada maestra per sconfiggere la criminalità è costituita dalla crescita economica.

Infrastrutturare il territorio, da Nord a Sud, senza penalizzare chi è rimasto indietro, significa mettere tutti nelle stesse condizioni di competere.

Non come si è fatto negli anni recenti della Grande recessione, dove le scelte di politica economica hanno contenuto l’impatto della crisi nelle aree forti, scaricandone il peso maggiore sul Meridione.

Servono infrastrutture ma anche standard adeguati di strutture e servizi pubblici.

E’ per questo, non per pregiudizio ideologico, che abbiamo chiesto, e in parte ottenuto, di aprire un’ampia discussione sulla proposta di alcune Regioni del Nord di rafforzare i loro livelli di autonomia.

L’autonomia differenziata è auspicabile se crea maggiore efficienza senza frenare le aree in ritardo, che anzi vanno sostenute. Il valore dell’autonomia è affermato dalla Costituzione, ma va declinato nel rispetto del principio di eguaglianza fra tutti i cittadini, con il correlativo impegno di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale.

Per questo è necessario definire contestualmente livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere assicurati su tutto il territorio nazionale. 

Va inoltre riconosciuto al Parlamento un ruolo di garante dell’equilibrio fra tutti i territori, lungo tutto il processo di rafforzamento delle autonomie regionali.

Il progetto di autonomia finora avanzato, per le modalità con cui è stato prospettato, ha indotto un ex presidente della Corte Costituzionale a dichiarare: “Così com’è, sarebbe un golpe!”.

Non credo si debba aggiungere altro, e oggi che abbiamo al tavolo della discussione anche il Presidente della Regione Campania, ci sentiamo rassicurati.

Dall’ultimo Rapporto sui conti pubblici territoriali risulta, intanto, evidente, che è il Sud a ricevere meno, molto meno!, dalla ripartizione dei fondi pubblici pro capite. 

Un differenziale che si traduce in meno strutture, meno servizi, meno efficacia dell’azione istituzionale. 

L’efficienza è un’altra cosa, quella va vagliata secondo le effettive disponibilità finanziarie di ciascun ente. 

 

Crescita dell’internazionalizzazione

Il panorama economico mondiale è profondamente cambiato in questi anni, e sta ulteriormente cambiando. Sul fronte dell’internazionalizzazione, le notizie che riguardano l’Italia sono senz’altro migliori.

Nell’ultimo decennio le imprese hanno aumentato il loro tasso di internazionalizzazione, e nel Mezzogiorno è cresciuto anche un po’ più del resto del Paese. 

Sulla base di dati Istat, fatto 100 il 2009, nel 2018 l’export del Sud sfiorava quota 160, un punto più della media Paese. L’import raggiungeva 146,2, a fronte del valore medio Italia di 142,5.

Un dato significativo, anche se naturalmente il Mezzogiorno,  in valori assoluti, resta lontano dalle altre macroaree.

La bilancia commerciale italiana è passata da un deficit di 26 miliardi di euro nel 2009 a un attivo di 33 miliardi nel 2018. 

Siamo cresciuti anche nel turismo. In Italia del 65%, nel Mezzogiorno addirittura del 242%, pur partendo, anche qui, da condizioni iniziali molto peggiori.

Le imprese che hanno avuto la forza di innovare e aggredire il mercato globale, hanno migliorato la loro redditività operativa riportandola praticamente ai livelli pre-crisi e riducendo notevolmente oneri finanziari e debiti commerciali.

Uno sforzo che ha premiato soprattutto le grandi e medie realtà, e che oggi va esteso alle piccole imprese, che devono affrontare la svolta 4.0, con tutto quel che comporta in investimenti finanziari e qualificazione delle risorse umane.

La crescita della dimensione internazionale dell’impresa italiana è, in ogni caso, una realtà.

Si tratta di un fenomeno che ha permesso di contenere l’impatto della lunga recessione, caratterizzata anche dalla crisi della domanda interna.

Un fenomeno che va supportato, per far sì che il Paese conosca una nuova stagione di sviluppo.

A tal fine, siamo convinti della necessità di un’ampia diffusione della cultura d’impresa e della responsabilità sociale. Ed un ruolo primario, tra i progetti di cultura finanziaria, è certamente svolto dall’iniziativa Elite, portata avanti da Confindustria e Borsa Italiana.

Un progetto che, in pochissimo tempo, si è trasformato in un vero e proprio strumento di mercato. Come dimostra l’esperienza di Elite Leonardo Lounge, anche con la partnership di Cassa Depositi e Prestiti e Confindustria, con l’obiettivo della crescita e della solidità finanziaria delle filiere di aerospazio e difesa. 

Una sperimentazione unica in Europa, a vantaggio delle pmi virtuose! 

Le imprese, da sole, ancor di più se in sinergia tra loro, possono tanto. 

Il nostro sistema associativo può dare un grande contributo alle sfide che il mercato globale pone al tessuto economico e produttivo, favorendo in ogni modo la cooperazione con le altre rappresentanze d’impresa, le organizzazioni sindacali, le associazioni culturali più attiveil mondo della formazione, le istituzioni.

Sono sfide da vincere, per garantire, con scelte di oggi, il futuro delle nuove generazioni.

E sono sfide da vincere con un chiaro e convinto gioco di squadra, che non può essere contraddetto ad ogni modifica del quadro politico. 

 

Un investimento per il Paese

Il Paese deve ritrovare adeguati livelli di competitività.

Le infrastrutture costituiscono uno dei principali presupposti per centrare l’obiettivo.

Servono reti e connessioni materiali e immateriali, che colleghino le città nel Mezzogiorno, e con il resto del Paese e dell’Europa. 

Piattaforme tecnologiche per consentire lo sviluppo dei traffici e del business su scala globale.

Una efficiente e completa rete dei trasporti e della logistica. 

La tavola rotonda che si svolgerà tra poco avrà modo di entrare nel merito.

Il dato di partenza non ci incoraggia, per questo chiediamo una svolta.

Gli investimenti fissi lordi annui nel Mezzogiorno sono ancora inferiori del 31,6% rispetto ai livelli pre-crisi. Un calo nettamente superiore anche a quello pur marcato del Centro-Nord, pari al 20%.

Il crollo dell’investimento in opere pubbliche significa, soprattutto, rinunciare a un’enorme opportunità di sviluppo.

Sarebbe già molto importante attuare quanto previsto dall’ultima manovra finanziaria varata dal Governo.

Se solo ci fermiamo al dato sui trasporti e la logistica, vediamo che in Italia sono in programma interventi in infrastrutture per i prossimi dieci anni pari a 172 miliardi di euro, di cui 113 già disponibili. Di quei 172 miliardi, quasi 58 e mezzo sono indirizzati al Mezzogiorno.

Se l’importo destinato al Sud fosse ripartito per ciascuno dei dieci anni, il Pil annuo meridionale crescerebbe di 2 punti e mezzo, con la creazione di 125 mila posti di lavoro ogni anno.

Per il Mezzogiorno significherebbe, ad esempio, definire e attuare i programmi di alta capacità ferroviaria.

Progettare e realizzare le linee Salerno Reggio Calabria, Battipaglia Potenza Matera, Palermo Catania.

Rispettare puntualmente i tempi di realizzazione dell’unica opera già avviata, la linea ad alta capacità che collegherà Napoli a Bari.

Basterebbe, insomma, monitorare la capacità di spesa delle amministrazioni - ai vari livelli del trasporto su ferro, su gomma, portuale  - per far sì che, nel prossimo periodo, l’economia del Mezzogiorno e, pertanto, quella del Paese nel suo complesso possano trovare nuovo slancio.

Finora non è stato così, ma va tenuto conto, come più volte denunciato, della farraginosità delle procedure imposte dall’attuale assetto normativo, e della conseguente insostenibile lentezza con cui procedono le opere pubbliche, dalla fase di progetto al collaudo finale. Tempi più volte denunciati, ma su cui non si registra nessun miglioramento, anzi... È di questi giorni la notizia riferita dalla stampa che Anas ha dovuto prendere atto che, per motivi burocratici, importanti opere non potranno non slittare di 1 anno o addirittura di 2 anni!

Lo ha rimarcato il Governatore Visco in occasione dell’Assemblea della Banca d’Italia: nel confronto internazionale il ritardo dell’Italia è ancora maggiore in termini di opere realizzate che di spese effettuate!

E il Sud soprattutto – ha aggiunto - avrebbe bisogno di più investimenti pubblici in  infrastrutture, oltre che nella scuola.

E, invece, non viene rispettata neppure la percentuale del 34% fissata a suo tempo come limite minimo per la spesa dei ministeri da effettuare al Sud, confermata e rafforzata dall’attuale Governo.

 

Uno studio Svimez ha evidenziato che, se il vincolo del 34% fosse stato rispettato durante la Grande recessione del 2009-2015, il Sud avrebbe perso circa trecentomila posti di lavoro in meno, rispetto al crollo di mezzo milione di occupati registratosi in quegli anni (su questo e altri temi vd grafici nelle pagg. conclusive).

 

La realtà è che, per avviare a superamento il dualismo secolare del Paese, la riserva per il Mezzogiorno dovrebbe superare largamente l’incidenza percentuale della popolazione residente nel territorio, e non fermarsi dunque al 34%.

Non possiamo non apprezzare in tal senso l’impegno espresso da Ferrovie dello Stato  Italiane nel piano triennale recentemente presentato, che destina 16 miliardi al Mezzogiorno, vale a dire una cifra pari al 38% del complesso della spesa programmata per il Paese.

Si tratta, purtroppo, di un’eccezione.

La realtà è che, pur con vincoli e rigidità, i fondi europei sono da troppi anni la fonte di gran parte dell’investimento pubblico nel Mezzogiorno. 

Lo Stato è così venuto meno al rispetto del principio dell’addizionalità di tali risorse, utilizzate come sostitutive dell’intervento ordinario anziché finalizzate al recupero del divario strutturale economico e sociale.

Chiediamo che questa prassi perversa sia superata, pur nella consapevolezza delle obiettive difficoltà della nostra finanza pubblica.

Dobbiamo allora ricercare anche nuove fonti di finanziamento.

Anche dai nostri territori va posta con determinazione, ai nuovi vertici europei, la proposta di uno scorporo temporaneo e straordinario degli investimenti pubblici strategici dal Patto di Stabilità.

Il rigore senza sviluppo aggrava le diseguaglianze. Per dirla con Mario Draghi, “in una unione monetaria non ci si può permettere di avere grandi e crescenti divergenze strutturali tra i paesi, perché tendono a diventare esplosive”.

Ma vanno anche rimossi gli ostacoli che ancora si frappongono alla realizzazione di investimenti di interesse pubblico effettuati da grandi fondi internazionali, in una logica di partenariato pubblico-privato e di attuazione reale della normativa già esistente!

Sono percorsi già avviati da tempo, ad esempio, nel Regno Unito, dove il project financing è di fatto uno strumento che consente di realizzare le opere necessarie, incidendo, peraltro, positivamente sul rapporto debito-PIL, sul parametro insomma che ci fa essere fanalino di coda dell’Unione Europea!

Servono risorse, anche perché i programmi da realizzare sono tanti. 

Va preservato un Paese dai fragili assetti idrogeologici. Vanno messi in sicurezza strade, scuole e altri servizi pubblici. 

Dobbiamo ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero, pari al 78,6%, con un’incidenza determinante delle importazioni di petrolio e di gas naturale.

Dobbiamo efficientare il sistema, puntare sul risparmio energetico e sulle fonti rinnovabili valorizzando il ruolo del Sud, che attualmente produce il 50% circa del totale dell’elettricità ricavata da eolico, solare, bioenergie e geotermia: quale migliore opportunità per investire sulla rete elettrica nel Mezzogiorno!

Dobbiamo mettere in condizioni le imprese di competere, come hanno sempre dimostrato di saper fare.

Le nostre imprese manifatturiere sono già paladine nel mondo del made in Italy, e lo saranno sempre di più nei prossimi anni, nei settori dell’aerospazio, dell’automotive, dell’abbigliamento e della moda, del packaging e del food.

Vanno sostenute con infrastrutture adeguate. Nell’interesse dell’Italia, nell’interesse di Napoli e del Mezzogiorno.

Infrastrutture da realizzare ma anche da gestire in una logica di sistema.

Due esempi positivi.

Abbiamo a suo tempo caldeggiato la riforma della governance portuale. I primi innegabili risultati sono evidenti negli interventi di ammodernamento e ampliamento degli scali portati avanti dall’Autorità di Sistema del Mar Tirreno Centrale.

La gestione manageriale efficiente dell’Aeroporto di Capodichino ha favorito incrementi a due cifre dei traffici passeggeri e merci. Tanto da spingere verso la realizzazione di un vero e proprio sistema aeroportuale campano, con l’integrazione dello scalo di Salerno Pontecagnano.

 

Mediterraneo e Mezzogiorno

Il Mezzogiorno deve ripartire da nuove alleanze valoriali che sappiano fortificare e promuovere le connessioni che già esistono, rendendo visibili e sempre più efficaci i legami sull’asse nord-sud del paese. 

Tuttavia, questo tema è scomparso dal dibattito pubblico, dall’agenda dei diversi Governi che hanno guidato il nostro Paese negli anni recenti, in particolare nell’ultimo decennio di crisi economica, e dal dibattito culturale e scientifico, salvo rare e significative eccezioni.

Il Progetto Mezzogiorno deve tornare al centro delle strategie del Paese.

Un’autentica e nuova politica di rilancio del Mezzogiorno dovrà necessariamente partire dal comprendere le peculiarità dei territori, riscoprirne le vocazioni e le potenzialità, definire nuovi ruoli che essi possono essere in grado di ricoprire, tanto nello scenario italiano, quanto in quello della competizione globale. 

In questo contesto, il recupero di aree del Mezzogiorno alla legalità sostanziale e formale non può essere che una priorità da perseguire in parallelo alla costruzione di nuovi sentieri di sviluppo e forme di emersione delle potenzialità del Mezzogiorno.

L’investimento infrastrutturale va inquadrato in una logica di sistema, non può prescindere dalla prospettiva di quello che dovrà essere un territorio. 

Dobbiamo avere visione, darci obiettivi ambiziosi.

Riflettere sul ruolo del Mezzogiorno in uno scenario globale significa inevitabilmente rilanciarne la vocazione mediterranea. La sua storia, la sua cultura e la sua geografia pongono il Mezzogiorno non ai margini dell’Europa, ma al centro del Mediterraneo. 

Prendendo atto che il mondo cambia. Che il Mediterraneo, con il raddoppio del Canale di Suez e l’espansione di colossi come Cina e India, ritorna a essere strategico per gli scambi internazionali.

Le Zone economiche speciali, sulla carta, rappresentano una straordinaria potenzialità in questa direzione.

Ma bisogna che finalmente diventino operative. Bisogna monitorare con estrema attenzione tempi e modi di attuazione, perché possano decollare al più presto le prime, istituite in Campania e in Calabria, e proseguire con altri interventi analoghi.

Dobbiamo guardare con vista lunga alle possibili evoluzioni di un continente, l’Africa, che non si esaurisce nel problema, pur molto serio, della gestione dei flussi di migranti.

Dobbiamo promuovere politiche di cooperazione e sviluppo per l’area mediterranea.

Il primo obiettivo sarà quello di far emergere quanto sia importante il protagonismo dei soggetti che già operano nel Mezzogiorno e - nonostante le difficoltà - ottengono risultati considerevoli. 

Sempre con una visione che parta dal basso, vogliamo l’integrazione fra imprese, istituzioni culturali, corpi intermedi, sindacati e associazioni di categoria, mondo dell’associazionismo, volontariato. Dal basso potrà venire fuori una direttrice di sviluppo che chiederemo alla politica, alle istituzioni di ogni livello, di assecondare.

La grande mobilitazione che ha coinvolto già tutti gli attori della filiera produttiva ha avuto una prima significativa rappresentazione a Torino, in un segnale altrettanto straordinario di univocità nazionale di un tema bandiera del nostro sistema associativo centrale.

Dobbiamo crederci tutti, dobbiamo mettere l’interesse del territorio al centro dei nostri obiettivi. Sapendo che, come diceva Martin Luther King, “si può non essere responsabili per la situazione in cui ci si trova, ma lo si diventa se non si fa nulla per cambiarla”

La stessa Unione europea deve superare una visione eurocentrica, rafforzando la sua identità politica soprattutto attraverso una proiezione delle sue strategie oltre la dimensione dei rapporti interni agli Stati membri.

C’è chi, a cominciare dalla Cina, sull’Africa sta investendo, e massicciamente. L’Europa deve assumere un suo ruolo in questa sfida. 

Una grande metropoli come Milano, ma per ovvi motivi anche Napoli e Palermo, possono svolgere un ruolo di cerniera intelligente, proattiva, nello sviluppo dei futuri traffici che accompagneranno la crescita economica e sociale del continente africano.

Sono prospettive che si costruiscono anche attraverso progetti di partenariato tra privati e inclusione attiva dei migranti, dando corpo alla proposta rilanciata ad aprile a San Patrignano da Letizia Moratti nell’ambito del Forum sull’Economia sostenibile.

 

Una capitale dell’innovazione

Le prospettive delle grandi aree metropolitane sono spesso legate a processi di rigenerazione urbana.

Napoli sta vivendo un momento importante per il suo prossimo futuro.

Vi sono enormi potenzialità di investimento privato attivabili a est e a ovest della città, dall’area flegrea a quella dei giacimenti archeologici e delle zone contigue vesuviane.

Lo si può fare nella piena salvaguardia e in un’ottica di valorizzazione dello straordinario patrimonio di bellezze naturali, storiche e artistiche presenti. 

Napoli può rappresentare il modello di uno sviluppo sostenibile, che crea ricchezza e sviluppa conoscenza, attrae turismo culturale, non massificato, coniuga tecnologie e tutela dell’ambiente.

A Napoli sembra prendere finalmente corpo un sistema culturale teso a consolidare una stabile identità, che ci renda finalmente consapevoli dell’”essere napoletani”. 

Deve crescere parallelamente una sensibilità volta a superare le criticità della società civile.  

Circa 40 anni fa, in un’intervista sulla “Storia di Napoli”, Giuseppe Galasso ammoniva che “i problemi della città non possono sempre e solo addebitarsi al Governo centrale, ma sono il frutto di scelte sbagliate delle sue elite, del parassitismo dei ceti medi, del singolare adattarsi della popolazione a una miseria materiale e morale inconcepibile nel resto d’Europa!”.

Bene, ora è il momento di cavalcare l’energia e la vivacità che si manifestano ogni giorno e che Paolo Macry, nell’eccellente ultimo suo lavoro “Nostalgia del domani”, definisce come la forza del contesto. Un contesto dove le elite e la classe dirigente tutta, se volete, viene rappresentata come raffinata e aperta, ma talvolta senza parola. 

Ebbene oggi noi vogliamo invece farci sentire. Vogliamo proporre il modello della cultura d’impresa come una leva su cui si può costruire un grande futuro.

Una cultura che si traduce in una  capacità unica di armonizzare interessi spesso completamente contrapposti, con la stella polare del risultato da raggiungere.

In una società che disegna il futuro sempre più “a progetto”, ci sentiamo capaci di dare un contributo sicuramente proficuo in sinergia con le istituzioni.

E, in questo ambito, il partenariato pubblico privato può assumere un ruolo particolarmente significativo.

Occorre sempre più trovare soluzioni in cui il pubblico possa fare un ‘passo indietro’, conservando il necessario controllo dell’opera realizzata dall’investimento privato, ma trasferendo i rischi di costruzione e gestione su soggetti privati affidabili: una procedura chiara, già contenuta in provvedimenti  di legge, che però non trova attuazione.

Per riferirci alla nostra area metropolitana, non si può non segnalare che la rigenerazione di Bagnoli non riesce ancora a decollare, gli sforzi finora prodotti non sono bastati!

Mentre nell’area orientale la realizzazione del Polo universitario promosso dall’Università Federico II sta rivitalizzando il territorio.

La leva dell’alta formazione dell’Università napoletana si è rivelata anche un formidabile acceleratore di riqualificazione urbana.

Di un territorio, quello di San Giovanni a Teduccio, su cui solo qualche anno fa nessuno di noi avrebbe scommesso un centesimo. 

E, in questo momento storico, proprio facendo leva sul Polo di San Giovanni, esperienza d’eccellenza ampiamente riconosciuta a livello non solo europeo, Napoli si candida a diventare una capitale mondiale dell’innovazione, della creatività e della digitalizzazione. 

Non è utopia. Come dice Einstein, “chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo”.

Apple, Cisco, Deloitte Academy, Tim Wcap Napoli, Fs Mobility Academy, Innovation Center di Intesa Sanpaolo, Scuola Politecnica e delle Scienze di Base, l’Incubatore Campania New Steel. Una concentrazione così elevata di attività di alta formazione non può, non tradursi, in una contaminazione virtuosa con il mondo della produzione e dell’impresa, pubblica e privata. 

In parte sta già avvenendo, molto di più accadrà in futuro. A San Giovanni, entro il 2021, gli spazi per queste attività saranno raddoppiati.

A vincere è stato anche il protagonismo dei nostri giovani, che, come ci ricorda Riccardo Varaldo, già presidente della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, spiccano per capitale umano e intellettuale, per la loro creatività.

Si parla spesso, a volte con superficialità ma purtroppo anche a ragione, di spreco di risorse pubbliche. Sicuramente, per il polo di San Giovanni, sono state bene utilizzate le risorse europee. 

Napoli, se continuerà sulla strada così bene avviata sul modello Federico II, può aspirare a competere con realtà quali Boston, Seattle. Può guardare con spirito di emulazione all’esperienza formativa olandese.

Ma, lo Stato, inteso come Istituzioni centrali e locali ed Enti a vario titolo preposti, deve fare la sua parte.

Dobbiamo completare le piattaforme tecnologiche.

Un censimento di Ernst & Young su 11 mila aree industriali ci dice che ben 7 mila non dispongono di fibra ottica. Dati Istat mostrano come soltanto il 31,7% del totale delle imprese con più di 10 dipendenti può disporre di connessioni di almeno 30 Megabyte per secondo. 

In altre parole, solo un’impresa su tre è dotata di banda ultralarga. 

Dobbiamo favorire la rapida copertura delle “aree grigie”, altrimenti sarà impossibile utilizzare al meglio cloud, big data e altre tecnologie 4.0.

E’ fondamentale che l’evoluzione in atto a Napoli non si esaurisca nella creazione di centinaia di cervelli ricercati dalle imprese di tutto il mondo.

Che impatti sul tessuto produttivo della città, della regione, del mezzogiorno, del paese.

L’innovazione è oggi un driver ineludibile. 

La velocità con cui adeguarsi altrettanto. 

Il grande vantaggio di cui usufruiscono tutti i nostri associati è quello di appartenere a un sistema dove i grandi soci industriali, manifatturieri, hanno già vinto la loro partita di adeguamento alla 4.0, sono già attivi nel mercato internazionale e fanno da traino al resto degli associati, la maggioranza numerica, per vincere le stesse sfide. Lo  fanno attraverso la continua e convinta partecipazione al Campania Digital Innovation Hub e al Competence Center.

Sia offrendo prototipi di ricerca applicata che siano dimostratori del reale trasferimento tecnologico dalla ricerca al mercato, sia offrendo opportunità ai giovani talenti che fuoriescono dalle nostre Academy per una prima esperienza di lavoro.

Il nostro compito sarà quello di trattenerli in tutti gli anni successivi, contenendo le fughe di cervelli e coinvolgendo progressivamente l’intero sistema industriale.

Il cambiamento va promosso, ma va soprattutto gestito. Per dirla con Darwin, “non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”.

Dobbiamo ripensare il rapporto con la stessa istruzione primaria.

La crescita del territorio è anche crescita di una coscienza civica che rafforzi i rapporti tra cittadini e strutture sociali, a cominciare dall’abbattimento dei tassi di dispersione scolastica.

E’ necessaria una maggiore interazione tra scuola e impresa, per far emergere già dalla scuola le competenze richieste dalle imprese, siamo già impegnati in attività prototipo che producono risultati interessanti.

Digitalizzazione significa formazione continua, questo è chiaro a tutti, pubblico o privato che siano.

Occorre diffondere la cultura tecnica. E’ inconcepibile che gli Its in Italia coinvolgano 10 mila ragazzi contro gli ottocentomila della Germania.

Dobbiamo diffondere la cultura digitale, per migliorare rapidamente il posizionamento dell’Italia, che oggi si trova sotto la media Ue in tutti gli indici della trasformazione digitale, come rileva il rapporto 2019 della Fondazione Cotec. 

Chiedere di ribaltare il trend negativo, di riconfigurare la formazione tecnico professionale, non significa proporre una società di tecnocrati.

Lo dimostra il fatto che sempre più numerose sono le aziende alla ricerca anche di profili umanistici in grado di interpretare e governare i processi e gli algoritmi che ne sono alla base, meglio di skills strettamente tecnologiche.

Stiamo contribuendo, come sistema confindustriale locale, a promuovere la svolta dell’innovazione.

Costituendo, come anticipato, il Campania Digital Innovation Hub, che ha la funzione fondamentale di trasferimento di know how tra mondo della ricerca, top player aziendali e pmi, e affidando la Presidenza a uno scienziato di fama internazionale come Luigi Nicolais.

La sinergia tra sistemi territoriali regionali (Campania e Puglia), tra le principali strutture universitarie  e alcune delle più significative imprese e realtà industriali delle due regioni, accompagnate dal sistema confindustriale, si è tradotta nella realizzazione di un Competence Center, che darà vita a un partenariato pubblico/privato con grandi aspettative di ricaduta positiva sui nostri territori, non solo formative.

E’ con lo stesso spirito, di coesione e visione comune, che stiamo definendo alleanze e sinergie anche sull’asse Milano-Napoli, con i nostri colleghi di Assolombarda. Questa sensibilità è avvertita anche dalle Amministrazioni delle due città, che hanno avviato un percorso di collaborazione: uniti nella diversità.

L’immagine di Napoli, negli ultimi anni, è migliorata su scala internazionale, riuscendo ad attrarre eventi importanti come le prossime Universiadi, su cui registriamo oggi una piena coesione tra tutte le parti sociali e le istituzioni regionali e comunali, uniti nello Sport: dimensione etica nella quale l’intera società si riconosce. 

Lo sport è infatti un grande fattore di coesione sociale, facilita l’interazione tra le persone, lo spirito di gruppo, la solidarietà, la competitività e la lealtà. 

E noi, grazie alle Universiadi, da luglio, avremo anche tutti gli impianti sportivi riammodernati,  un’occasione davvero unica!

Le Universiadi determineranno l’arrivo a Napoli di circa 30.000 ospiti. La nostra scommessa deve essere quella di farli ritornare nei prossimi anni come turisti, non più come atleti!

Ma la sfida si vince se, al di là di singoli eventi, cresce la competitività di un sistema territoriale.

Il mancato decollo delle infrastrutture e dei servizi, materiali e immateriali, è stata una delle cause prioritarie del declino di Napoli, del Sud, di buona parte del Paese.

Il loro rilancio sarà il trampolino per una nuova stagione di sviluppo.

Ne siamo convinti. E a tal fine, senza tregua, continueremo ad impegnarci!

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