È stato pubblicato sul supplemento ordinario n. 21/L alla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 19 maggio 2020, il Decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 recante "Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19", c.d. DL Rilancio.

Si tratta di un provvedimento molto atteso, cui, dopo gli interventi economici di carattere urgente affidati al DL Cura Italia (Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18) e al DL Liquidità (Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23), sono attribuite, secondo le intenzioni del Governo, potenzialità di sostegno alla ripresa e al rilancio dell’economia.

Il provvedimento, che stanzia circa 55 miliardi di euro in termini di indebitamento netto, interviene, in modo trasversale, in diversi ambiti, affiancando a misure di potenziamento del sistema sanitario, strumenti di sostegno alla liquidità, interventi di riduzione del carico impositivo e di semplificazione fiscale anche finalizzati ad un più celere recupero dei crediti vantati verso la PA e dei crediti di imposta, indennizzi a famiglie e settori particolarmente colpiti, disposizioni di differimento dei versamenti e degli adempimenti tributari, misure per gli enti territoriali, etc.

Con riferimento alle misure fiscali, si segnala la centralità dello stralcio dell’IRAP dovuta per il saldo del 2019 e per la prima rata di acconto 2020 e la disattivazione delle clausole di salvaguardia IVA e accise; significativi, inoltre, le misure di sostegno alla capitalizzazione delle imprese e il potenziamento degli interventi volti a incrementare l’efficienza energetica degli edifici e a ridurre il rischio sismico, oltre ad una serie di misure a sostegno delle spese straordinarie necessarie a garantire lo svolgimento delle attività produttive e commerciali in condizioni di sicurezza.

Merita ad ogni buon conto segnalare che, secondo Confindustria, nonostante le cospicue risorse messe in campo, il decreto non sembra in grado di produrre un impatto determinante sul rilancio dell’economia del Paese, a causa di una eccessiva - e a tratti confusa, - frammentazione delle misure adottate, che appare sintomatica della mancanza di una reale e ben definita strategia di sviluppo.

La nota che segue fornisce una prima disamina delle misure fiscali di maggiore interesse per le imprese, con riserva di ulteriori approfondimenti su temi specifici, anche a seguito dell’iter di conversione del provvedimento e degli eventuali chiarimenti di prassi.

Oggi dedichiamo il primo focus agli interventi sulla tassazione contenuti nel DL Rilancio.

Indice:

  • Disposizioni in materia di versamento dell’IRAP (art. 24)
  • Soppressione delle clausole di salvaguardia (art. 123)
  • Riduzione aliquota IVA dei beni destinati all’emergenza (art. 124)
  • Differimento della c.d. plastic tax e della c.d. sugar tax (art. 133)

Disposizioni in materia di versamento dell’IRAP (art. 24)

La norma esonera i soggetti passivi IRAP – con esclusione delle imprese di assicurazione, le Amministrazioni pubbliche, gli intermediari finanziari e le società di partecipazione (finanziaria e non) - con un volume di ricavi o compensi non superiore a 250 milioni nell’anno precedente, dall’obbligo di versamento del saldo dell’IRAP dovuta per il periodo in corso al 31 dicembre 2019, nonché della prima rata di acconto IRAP per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020.

Resta fermo l’obbligo di versamento degli acconti dovuti per il 2019. Resta, altresì, dovuto il versamento della seconda rata dell’acconto IRAP per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020.

Nel definire la misura della prima rata di acconto 2020 non dovuta, il secondo periodo del primo comma dell’articolo 24 stabilisce che la stessa sia determinata ai sensi dell’articolo 17, comma 3, del DPR n. 435/2001 ovvero, per i soggetti ISA, ai sensi dell’articolo 58 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 e prevede, altresì, che “l’importo di tale versamento è comunque escluso dal calcolo dell’imposta da versare a saldo per lo stesso periodo d’imposta”.

La disposizione agevolativa è sottoposta ai limiti e condizioni del Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato.

Osservazioni di Confindustria

La norma in commento è volta a riconoscere un sostegno finanziario immediato ed automatico ai soggetti aventi ricavi o compensi non superiori a 250 milioni di euro, in considerazione delle difficoltà economiche derivanti dalla emergenza COVID-19, prevedendo la soppressione degli obblighi di versamento del saldo IRAP 2019 e della prima rata di acconto IRAP 2020, in scadenza nel mese di giugno 2020 (per i soggetti con esercizio sociale coincidente con l’anno solare).

Si tratta, sul piano soggettivo, di un intervento selettivo, poiché non solo sono escluse le imprese assicurative (che determinano il valore della produzione ai sensi dell’art. 7 del DLGS n. 446/1997), le pubbliche amministrazioni (ex art. 10 del DLGS n. 446/1997) e, per effetto del richiamo all’art. 162-bis del TUIR, anche le imprese finanziarie e le società di partecipazione (per quanto, la relazione illustrativa citi solo gli intermediari finanziari, ma non anche le società di partecipazione), ma anche tutti i soggetti esercenti attività di impresa, arti e professione con ricavi o compensi superiori a 250 milioni di euro nell’esercizio precedente quello di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

Ai fini del calcolo del tetto massimo dei ricavi, la disposizione fa esclusivo riferimento ai ricavi di cui all’articolo 85, comma 1 lett. a) e b), del TUIR ossia a quelli derivanti dalle cessioni di beni merce o dalle prestazioni di servizi oggetto dell’attività di impresa e quelli derivanti dalla cessione di materie prime, semilavorati, e ogni altro bene, fatta eccezione di quelli strumentali, impiegati nella produzione.

Non si devono quindi tenere in considerazione, ai fini del calcolo di questo requisito, i corrispettivi derivanti da cessione di strumenti finanziari, le indennità per risarcimento dei danni, i contributi in conto esercizio o quelli spettanti in base a contratto.

Non essendo esplicitamente esclusi, possono beneficiare dall’esonero dal versamento in parola anche gli enti non commerciali che determinano il valore della produzione assoggettata ad IRAP ai sensi dell’art. 10 del DLGS n. 446/1997. Si ritiene che tali soggetti - in particolare quelli che non svolgono, neppure in via residuale, una attività commerciale - possano fruire di tale norma di favore, in ogni caso, non conseguendo ricavi ai sensi dell’articolo 85 del TUIR.

L’intervento si caratterizza, come accennato, per essere semplice, immediato ed automatico, non essendo richiesto alle imprese alcun tipo di istanza o adempimento, se non la verifica dell’ammontare dei ricavi conseguiti nel periodo di imposta precedente. Questa semplificazione operativa può, senza dubbio, produrre effetti diversificati in capo alle imprese; tuttavia, si tratta, non solo di conseguenze connaturali ad ogni misura di favore fiscale ma, come si vedrà, anche effetti tollerabili in ragione di una semplicità operativa da preservare.

Con riguardo all’esonero dal versamento del saldo IRAP 2019, con riguardo a quest’ultimo aspetto, la disposizione favorirà i soggetti che sono stati esonerati dal versamento degli acconti nel corso del 2019, come, ad esempio, le imprese costituite nel corso dello scorso anno tenute a versare tutta l’IRAP dovuta per il 2019 in sede di versamento del saldo; nonché quelle soggette agli ISA che hanno fruito di una riduzione nell’ammontare degli acconti versati per il 2019.

Come accennato, la norma precisa che sono comunque dovuti gli acconti per il 2019. Ne consegue che i contribuenti che non li hanno corrisposti, dovranno sanare l’omesso versamento tramite il ravvedimento operoso (ex articolo 13 del DLGS n. 472/1997). In tale ipotesi l’importo da versare resta pari all’imposta dovuta per il periodo di imposta chiuso al 31 dicembre 2018 (90% dell’imposta dovuta per il 2018, nel caso dei soggetti ISA).

Per quanto attiene ai profili contabili, i soggetti che hanno già approvato il bilancio relativo all’esercizio 2019 alla data dell’entrata in vigore del decreto, dovranno rilevare una sopravvenienza attiva nel conto economico relativo all’esercizio 2020 pari al saldo IRAP 2019 non più dovuto (vale a dire la quota del debito IRAP 2019 rilevato a fine anno in misura eccedente gli acconti versati nell’anno), sulla cui irrilevanza fiscale di attendono conferme dall’Agenzia delle Entrate.

Diversamente, per i soggetti che approveranno il bilancio relativo all’esercizio 2019 nel termine di 180 giorni (oltre la data di entrata in vigore del decreto in esame), il dato riferito all’IRAP dovrebbe essere rilevato al netto del saldo per il 2019 non più dovuto, valorizzando l’esistenza del debito alla chiusura dell’esercizio, ma sul punto si attendono conferme dall’OIC.

Per quanto concerne i soggetti che concluderanno il periodo di imposta 2019 con un debito IRAP inferiore agli acconti dovuti per tale annualità, sarebbe utile, al fine di riconoscere un sostegno finanziario immediato, prevedere in sede di conversione del DL Rilancio prevedere la possibilità di utilizzare il relativo credito per l’eccedenza IRAP in compensazione senza attendere l’invio preventivo della relativa dichiarazione, in deroga all’articolo 3 del DL n. 124/2019.

Con riguardo, invece, all’esonero dal versamento della prima rata di acconto 2020, merita preliminarmente sottolineare che il secondo periodo del primo comma dell’articolo 24, nel definire la misura del versamento non dovuto, stabilisce che lo stesso sia determinato ai sensi dell’art. 17, comma 3, del DPR n. 435/2001.Tale disposizione, nel richiamare la Legge 23 marzo 1977, n. 97 fa ritenere che la prima rata d’acconto, ai predetti fini, vada quantificata in base “all’imposta relativa al periodo precedente, come indicata, al netto delle detrazioni, dei crediti d'imposta e delle ritenute d'acconto, nella dichiarazione dei redditi presentata per il periodo stesso”.

Si rammenta che tale regola - che nel gergo operativo viene definita “metodo storico” - è l’unica regola di determinazione degli acconti prevista nel nostro ordinamento; il metodo noto come previsionale, secondo cui l’ammontare degli acconti può essere commisurato sulla base di una stima dell’imposta dovuta per il periodo a cui si riferiscono gli acconti, invece, è una disciplina sanzionatoria definita dall’art. 2, comma 3 sempre della Legge n. 97/1977, a mente del quale le sanzioni previste per l’omesso o insufficiente versamento dell’acconto non si applicano qualora l'acconto versato, ancorché inferiore a quello dovuto sulla base dell’imposta dell’anno precedente, non sia inferiore a quello dovuto sulla base dell’imposta dovuta nell’anno coevo.

Secondo Confindustria, pertanto, l’esonero dal versamento della prima rata di acconto IRAP 2020 sarà pari al 40% dell’imposta dovuta per l’anno precedente, ovvero pari al 50% per i soggetti ISA di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 12-quinquies del Decreto legge n. 34 del 2019. L’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo in esame, infine, precisa che “l’importo di tale versamento è comunque escluso dal calcolo dell’imposta da versare a saldo per lo stesso periodo d’imposta”. La disposizione, inserita nella versione definitiva del decreto, mira a fugare quei dubbi, sollevati da alcuni commentatori alle prime bozze al provvedimento, circa l’eventuale recupero della prima rata di acconto non versata, in sede di versamento del saldo, di talché l’agevolazione si sarebbe tramutata in un mero differimento finanziario e non in un sussidio a fondo perduto indiretto come era nelle intenzioni del Legislatore.

Tuttavia, la formulazione della disposizione avrebbe dovuto riferire, più propriamente, che dell’importo della rata di acconto – ancorché non versata – si sarebbe dovuto tener conto in sede del calcolo, a consuntivo, dell’imposta di periodo. In questa prospettiva e in considerazione, anche, delle considerazioni che precedono, appare poco chiaro il richiamo operato dalla relazione illustrativa secondo cui “l’esclusione opera fino a concorrenza dell’importo della prima rata calcolato con il metodo storico ovvero, se inferiore, con il metodo previsionale”.

Da ultimo, il comma 3 precisa che l’agevolazione in commento sarà concessa nei limiti e alle condizioni del Quadro Temporaneo sugli aiuti di Stato. Si tratta di un richiamo necessario, poiché, come accennato, la misura è selettiva e, in mancanza di tale copertura giuridica, l’intervento sarebbe stato giudicato un aiuto di Stato illegale. Essendo un aiuto sotto forma di “agevolazioni fiscali o di pagamenti”, la misura dovrebbe ricadere nelle previsioni di cui alla Sezione 3.1 del predetto Quadro temporaneo e, pertanto, il limite massimo di aiuto concedibile per singola impresa ammonterà a 800.000 euro, ridotto a 120.000 e 100.000 euro per le imprese operanti rispettivamente nel settore della pesca e della produzione agricola. Tale tetto, si rammenta, deve prendere in considerazione tutti gli altri aiuti ricevuti dalla stessa impresa nel 2020 a valere sulla stessa Sezione del citato Quadro Temporaneo.

Effetti finanziari

Dalla relazione tecnica al DL Rilancio in esame emerge che il costo finanziario della eliminazione dell’obbligo di versamento del saldo IRAP 2019 e della prima rata di acconto IRAP 2020 è stimato in misura pari a 3.952 milioni di euro nel 2020, sulla base delle dichiarazioni IRAP del 2018.

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Soppressione delle clausole di salvaguardia (art. 123)

L'articolo 123 dispone la completa soppressione delle clausole di salvaguardia in materia di IVA ed accise sui carburanti previste dall’articolo 1, comma 718 della L. n. 190/2014 e modificate dall’articolo 1, comma 2 della L n. 145/2018, a sua volta rettificato, da ultimo, dall’articolo 1, comma 3, della Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020).

Osservazioni di Confindustria

Le straordinarie circostanze economiche generate dalla pandemia hanno consentito al Legislatore la completa soppressione del meccanismo delle clausole di salvaguardia in materia di IVA e accise, oggetto negli anni di costanti manovre di sterilizzazione totale o parziale degli incrementi automatici di tassazione posti a salvaguardia degli equilibri finanziari.

L’abrogazione delle clausole comporta, dunque, il venir meno degli aumenti di prelievo che avrebbero determinato – salvo sterilizzazioni – il passaggio dell’aliquota IVA ridotta dal 10% al 12% a decorrere dal 1° gennaio 2021 e dell’aliquota IVA ordinaria dall’attuale 22% al 25% nel 2021 e successivamente al 26,5% dal 2022. Vale la pena ricordare che in relazione alle accise le clausole di salvaguardia abrogate indicavano la necessità di reperire maggiori entrate pari a 1.221 milioni nel 2021, 1.683 milioni nel 2022 e 1.954 milioni nel 2023.

Effetti finanziari

La relazione tecnica al provvedimento richiama l’aggiornamento dei valori delle clausole di salvaguardia calcolati in precedenza, al fine di tenere conto del calo dei consumi finali delle famiglie atteso nel 2020 a causa dell’epidemia da COVID-19, valutato nel DEF 2020-2022 in -7,4%, e del successivo “rimbalzo” degli stessi per il 2021, valutato dal medesimo DEF in +5,8% nel 2021. Di conseguenza, considerando una riduzione netta dei consumi dell’1,6%, la relazione tecnica stima che l’eliminazione delle clausole generi minori entrate per 19,82 miliardi nel 2021, 26,73 miliardi nel 2022, e circa 27 miliardi a decorrere dal 2023 (tali effetti derivano dall’attribuzione di un possibile maggior gettito di 2.850 milioni per l’incremento di 1 punto dell’aliquota IVA ridotta e 4300 milioni per 1 punto di aliquota IVA ordinaria).

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Riduzione aliquota IVA dei beni destinati all’emergenza (art. 124)

Il comma 1 dell’articolo 124 inserisce una voce alla tabella A, Parte II-bis allegata al decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 che riporta i beni e servizi soggetti all’aliquota IVA ridotta al 5%. L'aliquota ridotta è introdotta a regime e si applicherà, dal 1° gennaio 2021, alle cessioni di taluni beni, dettagliatamente elencati, ritenuti utili per la gestione e il contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. A mero titolo esemplificativo, ricadono in tale voce: mascherine di protezione, disinfettanti, guanti, occhiali, camici, tute e altri strumenti di protezione, nonché apparecchi diagnostici, strumentazione medica (quali ventilatori polmonari) e altre attrezzature.

Il comma 2 dispone che le cessioni di cui al comma 1, effettuate fino al 31 dicembre 2020, siano esenti da IVA con diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti.

Osservazioni di Confindustria

La norma in commento è positiva in quanto dispone l’applicazione di un’aliquota IVA agevolata sulle cessioni di beni essenziali per la gestione e prevenzione della diffusione della pandemia da COVID-19. La nuova voce tabellare riporta varie tipologie di beni spaziando dagli apparecchi medici, ai dispositivi medici fino a beni diversi aventi finalità sanitaria e ritenuti necessari per il contenimento della diffusione. Tuttavia, si rileva che alcune definizioni dei beni agevolati appaiono generiche e di difficile inquadramento anche per gli operatori del settore che, sin dalle prime formulazioni della norma, hanno sollevato dubbi circa la definizione del perimetro oggettivo di applicazione. Al fine di evitare l’errata applicazione dell’aliquota IVA ridotta si auspica che, sul tema, siano forniti tempestivi chiarimenti.

In tema di aliquote IVA, si ricorda che la normativa comunitaria, consente agli Stati membri di applicare un’aliquota ridotta solamente ai beni indicati nell’Allegato III alla direttiva n. 112/2006 (c.d. Direttiva IVA) che ai numeri 3 e 4 riporta i prodotti farmaceutici, apparecchi medici, materiale ausiliario e altri strumenti medici. Laddove si facesse un’analisi puntuale di beni elencati nella nuova voce tabellare, probabilmente, si potrebbe sollevare l’ipotesi di incompatibilità della norma alla disciplina comunitaria se si pensa che, anche i dispositivi medici, non sono esplicitamente indicati nell’Allegato III (sebbene vi siano taluni dispositivi medici che già oggi godono dell’aliquota ridotta al 10%). Tuttavia, si osserva che la Commissione Europea, tramite una nota del 26 marzo 2020, ha confermato la possibilità di applicare aliquote ridotte o l’aliquota zero ai beni e servizi utili per fronteggiare l’emergenza. In conformità a tale apertura, si apprezza la decisione di applicare fino al 31 dicembre 2020, l’esenzione da IVA con diritto alla detrazione sugli acquisti. È utile precisare che con la definizione di “esenzione da IVA” - usata nella Direttiva IVA ma impropria per la disciplina nazionale - non si vuole equiparare tali cessioni alle operazioni esenti da IVA, ex art. 10 del Decreto IVA, la cui effettuazione, come noto, limita la detrazione dell’IVA sugli acquisti, quanto, piuttosto, ad operazioni con aliquota zero (ad oggi applicabili solo via eccezionale, es. Clausola “stand still”).

Anche l’introduzione dell’aliquota ridotta al 5%, sebbene prevista a regime, appare compatibile con la disciplina comunitaria, se si considera che la Commissione Europea ha presentato una proposta di modifica della Direttiva IVA, attualmente in esame al Consiglio Europeo, che concede agli Stati membri maggiore flessibilità nella definizione dei beni e servizi da assoggettare ad aliquota ridotta, purché abbiano finalità generali, siano destinate al consumatore finale e non ricadano tra i beni e servizi puntualmente esclusi (c.d. elenco negativo di beni per i quali si deve obbligatoriamente applicare l’aliquota ordinaria). La Commissione Europea ha confermato, infatti, la volontà di non avviare procedure di infrazione (in ultimo nella comunicazione del 3 aprile 2020), laddove le aliquote ridotte siano applicate a beni diversi da quelli riportati nell’Allegato III purché nel rispetto dei principi contenuti nella proposta, durante tutto il periodo di valutazione della stessa. Tuttavia, il requisito della destinazione al consumatore finale, previsto dalla proposta, potrebbe far sorgere il dubbio che la modifica alla disciplina nazionale in commento non si possa applicare alle cessioni effettuate tra soggetti passivi IVA. Nonostante un possibile, ma circoscritto, profilo di incompatibilità, siamo dell‘avviso che l’aliquota ridotta si applichi, invece, a tutte le cessioni di beni, considerato che la norma aggiunge una voce generica al Decreto IVA che elenca le operazioni agevolate senza distinguere la natura del cessionario. Tale interpretazione, per la quale si auspica arrivi conferma in via interpretativa, sembra allineata con l’intento del Legislatore di agevolare le operazioni di contenimento dell’emergenza e con la natura stessa di alcune cessioni che riguardano beni generalmente acquistati da soggetti passivi IVA.

In ultimo, si riportano i dubbi che stanno emergendo circa la possibile efficacia retroattiva della misura in commento. Secondo Confindustria, la norma non è di interpretazione autentica e ha efficacia dalla data di entrata in vigore del decreto. Ad ogni modo, considerato che, la disapplicazione dell’IVA è stata disposta in via temporanea al fine di fronteggiare l’emergenza, potrebbe essere coerente e utile un chiarimento che consenta di recuperare l’imposta sulle cessioni effettuate sin dall’inizio del periodo emergenziale.

Effetti finanziari

Si stimano i seguenti effetti finanziari (in mln di euro):

  2020 2021 2022
IVA -257,0 -317,7 -317,7

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Differimento della c.d. plastic tax e della c.d. sugar tax (art. 133)

La lettera a) dell’articolo 133 modifica il comma 652 della Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (di seguito Legge di Bilancio 2020) posticipando al 1° gennaio 2021 l’entrata in vigore dell’imposta di consumo sui manufatti con singolo impiego (c.d. plastic tax), in precedenza prevista per il primo giorno del secondo mese successivo all’emanazione del provvedimento attuativo.

Similarmente, la lettera b) modifica il comma 676 della medesima Legge di Bilancio e, per l’effetto, rimanda al 1° gennaio 2021 l’entrata in vigore dell’imposta sulle bevande analcoliche edulcorate (c.d. sugar tax).

Osservazioni di Confindustria

La norma in commento, in linea con le richieste di Confindustria, posticipa al 2021 l’entrata in vigore di due imposte sul consumo introdotte dalla Legge di Bilancio 2020. Nello specifico, si tratta della c.d. plastic tax, la cui entrata in vigore era prevista al più tardi per il 1° luglio 2020 e della c.d. sugar tax, attesa, al più tardi, per il 1° ottobre 2020. Entrambe le imposte erano subordinate all’emanazione di provvedimenti di attuazione, ai quali veniva rimandata la definizione delle modalità di calcolo oltre al compito di chiarire, nel dettaglio, l’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta. Appare evidente che l’attuale situazione di emergenza ha richiesto alle istituzioni di concentrare l’attenzione e gli sforzi verso la definizione delle misure di contenimento e sostegno alle imprese per far fronte alla crisi connessa con la pandemia, fermando comprensibilmente il processo di definizione delle nuove imposte. Inoltre, si rammenta che sin dalle prime fasi di definizione, Confindustria aveva evidenziato le pesanti ripercussioni sulle imprese dei settori colpiti dalla repentina introduzione delle due imposte. Nell’attuale situazione di emergenza e di crisi economica, le difficoltà e gli effetti sulle imprese sarebbero stati esponenziali, con il rischio di compromettere definitivamente una ripartenza, già oggi, abbastanza complessa. Si ritiene, pertanto, che il rinvio dell’entrata in vigore delle due nuove imposte sul consumo sia stato opportuno e che possa rappresentare l’occasione per una rinnovata riflessione sull’inopportunità di imposte così congegnate.

Effetti finanziari

Alla misura sono attribuiti effetti di gettito pari a 199,1 milioni di euro per il 2020, 120,4 milioni per il 2021 e 42,2 milioni per il 2022.


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